Che cosa è la Nocerinità ?

Che cosa è la Nocerinità ?

“Nocera mia”

Quante volte scopro che quest’idea sta girando per la mia mente. Quando ne parlo, sento il dovere di precisare che quelle due parole devono essere intese nel senso che la parte più profonda di me sente di appartenere a Nocera; ed ovviamente non nel senso che la cittadina appartiene a me.

La mia Nocera è da oggi arricchita dall’iniziativa del Sindaco Dottor Giovanni Bontempi e dell’Assessore alla Cultura, Avvocato Luciano Morini, di aprire questo Spazio Nocerinità sul sito web del Comune.

Che cosa è la Nocerinità? La domanda ricalca la famosa domanda che Ponzio Pilato pose a Gesù. Egli gli chiese “Quid est veritas?”Che cosa è la verità? Da oggi su questo sito sarà possibile confrontarsi su:
“Quid est Nocerinitas ?”
Che cosa è la Nocerinità ?

Dieci anni fa, nel marzo 2004, “L’Altranocera” ha pubblicato un mio articolo dal titolo “Per una più profonda consapevolezza della nostra nocerinità”. Ora qui propongo altre riflessioni maturate successivamente. L’incontro, svoltosi il 13 agosto 2014 nel Giardino delle acque sul tema della Nocerinità, mi ha permesso di correggere alcuni punti del mio pensiero.

Non so quanti Nocerini abbiano usato ed usino questo termine. Sono informato soltanto sul fatto che il nostro concittadino Notaio Angelo Frillici, in uno scritto di un paio di anni fa, anche lui ha proposto alla nostra attenzione il termine, e quindi il concetto, di nocerinità.

Dunque, cosa è la nocerinità?

Nocerinità è orgoglio. Orgoglio di questa nostra collina rocciosa che, a strapiombo sul canyon del Topino, incombe sulla frazione di Mugnano, dove io sono nato. Nocerinità è orgoglio: delle mura nostre, antichissime, erette forse nel quinto secolo; della Porta Vecchia; del Borgo Grande. E soprattutto … orgoglio del Campanaccio. Il caro amico Luigino Armillei mi ha raccontato che dopo la scossa del terremoto del 1997, nella notte i Nocerini, prima ancora di verificare lo stato del tetto di casa propria, si chiedevano l’un l’altro se il Campanaccio era ancora in piedi.

Il caro amico Angelo Marinangeli, pochi giorni dopo quel terremoto, venne a Roma per una riunione del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti. Mentre era assente da Nocera, ulteriori scosse fecero crollare la parte superiore del Campanaccio. Per usare un termine del nostro dialetto, lo “scapecciarono”, lo ridussero ad un moncherino. Angelo mi disse: “Al ritorno da Roma a Nocera, quando ho visto il Campanaccio in quel modo, la macchina mi si è fermata. Mi sono accostato al bordo della strada. Ho pianto per dieci minuti”. I Nocerini sanno che questa torre è il principale resto del castello del conte. Tutte le novelle spose della comunità cittadina passavano là, nel letto del conte, la prima notte di matrimonio. Il conte esercitava il suo “diritto della prima notte”, lo jus primae noctis. Lo sperma dei conti nel corso dei secoli ha fecondato molte donne. Il Campanaccio è simbolo fallico, che ci ricollega ad una realtà storica di natura biologica. Nel Campanaccio tutti noi Nocerini siamo stati generati/concepiti secoli fa. Il Campanaccio è il letto nuziale dell’intera comunità nocerina. E’ il letto dei genitori, in cui tutti i bambini bramano dormire. Il Campanaccio è il nostro totem fallico. La nocerinità è una memoria ancestrale inconscia, che si trasmette di generazione in generazione.

I Nocerini sono i figli del Campanaccio. Nocerinità è “fede” nel totem Campanaccio. Una “fede” che nasce dalla biologia, dalla storia, dall’anima. Dall’alto della collina, come una madre Nocera protende le sua braccia verso la Piazza. Queste braccia sono le mura. Queste braccia si aprono ad accogliere. Questa è Porta Vecchia: l’apertura che accoglie, che accetta. Nocera ha così accolto persone nate in altre parti dell’Umbria o del mondo. Figlio carissimo di Nocera è stato Don Gino Sigismondi, nato in Lussemburgo. Mi sia permesso ricordare anche mio padre, che era nato nella vicina Fossato. Su questi figli nuovi di Nocera, il Campanaccio ha irradiato la Nocerinità. Il Campanaccio è l’antenna che irradia la Nocerinità. Dal Campanaccio emana un alone magico che infonde sicurezza.
Sulla nostra rocciosa collina si innalza la magica torre. Le sue pietre di base stanno là salde da un millennio e ci infondono interiore saldezza.I lavori di ripristino, dopo il terremoto, sono stati finalmente quasi terminati anche nell’isolato che comprende i Portici e Piazza San Filippo. La desolazione e la devastazione create dal terremoto troppo a lungo hanno lesionato la nostra identità interiore. Ora finalmente le antiche pietre sono state rimesse a posto, le ferite del terremoto si sono rimarginate. Questo contribuisce a consolidare l’identità interiore di noi Nocerini. È noto il principio: insieme staranno in piedi oppure insieme cadranno: simul stabunt, simul cadent.

“Sotto li ponti”. Così i Nocerini chiamano i Portici. I quali a me richiamano le architetture raffigurate nei quadri metafisici di Giorgio De Chirico. Con interiore adesione a quelle mura, in consonanza con esse, di nuovo abbiamo passeggiato nei restaurati Portici, immersi in un alone “metafisico” – come in un dipinto di De Chirico. E di nuovo siamo ritornati a camminare per tutti i vicoli nostri, che trasudano storia e che all'animo nostro infondono saldezza.

In pio pellegrinaggio siamo ritornati a restaurare e ristorare l'animo nostro dentro le mura. Quelle pietre sono le nostre radici, con le quali traiamo la linfa dalla collina rocciosa sottostante.
Farò una parafrasi di una lapide del cimitero di Fossato: questa collina rocciosa che ci ha generato e dove noi abbiamo giocato da ragazzi e sudato da adulti; questa collina ci accoglie ora, di nuovo tra le braccia materne delle sue mura.

Che cosa è la Nocerinità?

La Nocerinità è orgoglio. Orgoglio dell’acqua nostra, che non è una delle tante acque d’Italia. E’ orgoglio del manto verde del Busseto; della cucina nostra; delle nostre radici antichissime. E’ orgoglio soprattutto del Campanaccio, nostro simbolo cittadino.
Saggia decisione è stata quella del Sindaco e dell’Assessore di pubblicare nello spazio “Nocerinità” la poesia della concittadina Maria Rita Rutili intitolata “Nocera mia”. Un pannello con la riproduzione di questa poesia potrebbe essere esposto all’interno del Municipio, nelle scuole ed anche in ristoranti ed alberghi. Questa poesia ci aiuta ad amare la nostra nocerinità.
In Piazza al di sopra delle due fontane collocate accanto a Porta Vecchia, due lapidi ci ricordano versi scritti su Nocera da due poeti. Quelle iscrizioni costituiscono una meritoria iniziativa dell’Amministrazione Comunale che gestiva Nocera nel 1866. Oggi è possibile avvalersi di tecnologie allora inesistenti.

Lo skyline, il paesaggio montano che godiamo da Nocera è dominato dal monte Pennino, a volte imbiancato di neve. Perché noi Nocerini siamo affascinati dal Pennino quando è innevato o dalla nostra cittadina, quando è coperta da un manto di neve ? La mia risposta è un’ipotesi indimostrata ed indimostrabile, che fa riferimento anch’essa ad una memoria ancestrale inconscia.

Come è noto, gli Umbri erano Indoeuropei. Come tutti gli Indoeuropei, noi veniamo dalle pianure spesso innevate situate tra Mosca, ad ovest; e la catena dei monti Urali, ad est. Gli Umbri hanno vissuto in località innevate anche una volta giunti nella nostra terra. Infatti, prima del III secolo vivevano sulla parte alta delle montagne, perché le valli erano impaludate e quindi inabitabili.

La neve ci affascina perché ci fa rivivere “il cortile di casa di nonno”. La memoria ancestrale inconscia di passati millenni si riaffaccia dentro di noi e genera dolcezza, incanto.

La ragione non lo sa, ma la ragione è solo una parte della nostra mente. L’iceberg sta per sei settimi sottacqua e solo per un settimo al di sopra. Per “quantità” la ragione ha un’analoga parte nella nostra mente.
Come ha scritto Blaise Pascal, “il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce”.

Roma, 19 settembre 2014 Pierluigi Cascioli